Tribunale di Cuneo – Concordato preventivo e fallimento: rapporto di consequenzialità e di assorbimento.

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Data di riferimento: 
22/11/2013

Tribunale di Cuneo, 22 novembre 2013 – Pres. Tetamo, Est. Macagno.

Concordato preventivo – Rapporti con il fallimento – Principio di prevenzione – Superamento – Rapporto di consequenzialità o di assorbimento.

Concordato preventivo – Rapporti con il fallimento – Facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa – Sussistenza – Esplicazione del diritto di difesa.

Concordato preventivo – Rapporti con il fallimento – Dichiarazione di fallimento in pendenza del concordato – Ipotesi eccezionale - Casi.

Fallimento – Competenza – Tribunale del luogo della sede principale dell’impresa – Società in liquidazione – Presunzione di competenza del tribunale del luogo in cui si trova la sede legale.

L’avvenuta espunzione dall’art. 160 L.F. dell’inciso che prevedeva la possibilità per l’imprenditore di proporre il concordato preventivo “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, ha determinato il superamento del principio di prevenzione che correlava le due procedure, posponendo la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’impresa, senza peraltro che lo stesso, alla stregua dei principi generali vigenti in materia, possa oggi desumersi in via interpretativa. Ne deriva che, non ricorrendo un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia come un fenomeno di consequenzialità (eventuale del fallimento, all’esito negativo della pronuncia di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento) che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti. Nella prassi applicativa tale coordinamento è risolto nel senso di far precedere alla valutazione della sussistenza dei presupposti della dichiarazione di fallimento quella in merito all’ammissibilità della procedura concordataria. (Irma Giovanna Antonini – Riproduzione riservata)

La facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione, ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, che non potrebbe comunque disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare, venendo così a paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore e ad incidere negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo. (Irma Giovanna Antonini – Riproduzione riservata)

La pendenza della procedura concordataria, anche nella forma di concordato con riserva, non rappresenta un ostacolo assoluto alla dichiarazione di fallimento, che pertanto non è impedita dal divieto generale di cui all’art. 168, comma 1, L.F. Tuttavia, tale eventualità deve ritenersi assolutamente eccezionale, e in particolare il tribunale potrà precludere al debitore la facoltà (ampiamente riconosciuta – ed oggi anzi incentivata – dall’ordinamento) di coltivare l’ammissione al concordato preventivo, dando invece la precedenza all’istanza di fallimento proposta dal creditore (o dal p.m.), solo laddove la domanda di ammissione al concordato preventivo, alternativamente: a) non sia rituale e completa, ai sensi degli artt. 160 e 161 L.F.; b) configuri un’evidente forma di abuso dello strumento concordatario, anche attraverso condotte penalmente sanzionabili (ad es. bancarotta fraudolenta per distrazione ex art. 216, n. 1, L.F., ovvero bancarotta semplice ex art. 217, nn. 3 e 4, L.F., per aver compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento ovvero aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento); c) pregiudichi, definitivamente e in concreto, una più proficua liquidazione fallimentare, in danno della massa dei creditori (ad es. per il consolidamento di un’ipoteca, o la maturazione medio tempore della prescrizione di eventuali azioni di massa esperibili dal curatore). (Irma Giovanna Antonini – Riproduzione riservata)

La competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento spetta al tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa, che si identifica con quello in cui vengono individuate e decise le scelte strategiche cui dare seguito, e coincide, di regola, con la sede legale, salvo che non emergano prove univoche tali da smentire la presunzione suddetta. In particolare, qualora la società sia in liquidazione, per radicare la competenza in luogo diverso da quello della sede legale è necessario dimostrare che l’esercizio dell’attività, anche di natura liquidatoria, si svolge altrove. (Irma Giovanna Antonini – Riproduzione riservata)

 

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[Questo provvedimento si riferisce alla Legge Fallimentare]