Corte di Cassazione (8102/2013) – Le prerogative del liquidatore a seguito dell’omologazione del concordato: l’intervento nei giudizi introdotti dal debitore.

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Data di riferimento: 
03/04/2013

Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 8102, 3 aprile 2013, Pres. Petti, Rel. Vincenti.

Concordato preventivo con cessione di beni – Poteri degli organi della procedura – Diritti del debitore – Effetti della sentenza di omologazione – Spossessamento attenuato – Legittimazione processuale.

Omologazione del concordato preventivo – Concordato con cessione di beni – Giudizi introdotti dal debitore – Posizione del liquidatore – Legittimazione passiva – Intervento adesivo – Litisconsorzio processuale – Non autonoma legittimazione ad impugnare.

La procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione; per effetto di tale sentenza viene meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore, che non possiede la qualità di successore a titolo particolare, è da intendere conferito nell'ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione. In tale ottica, infatti, il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato. In particolare nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene, oltre che la proprietà dei beni, la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata per il fallimento dall'art.43 l.f. (Vincenzo Antonini, riproduzione riservata)

Con riferimento alla posizione che il liquidatore e, quindi, il concordato, può assumere intervenendo in giudizi introdotti dal debitore, nella procedura concordataria, a differenza di quanto accade nel fallimento, l'unico soggetto legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni è il debitore. Infatti, la legittimazione del liquidatore sussiste solo nei giudizi che investono lo scopo liquidatorio della procedura. Tuttavia, pur non essendo il liquidatore legittimato passivo, né litisconsorte necessario del debitore nei giudizi relativi alla verifica dei crediti, ove egli intervenga in tali giudizi, trattandosi di interventore adesivo che si inserisce nel processo  lasciando invariato l'oggetto della controversia nonostante l'ampliamento del numero dei partecipanti al solo scopo di preservare l'interesse ad uno svolgimento del giudizio funzionale alle operazioni concordatarie, deve necessariamente ipotizzarsi un litisconsorzio processuale nei successivi gradi di giudizio, non esaurendosi in un solo grado l'interesse dell'interventore ad influire con la propria difesa sull'esito della lite e configurandosi, diversamente, la possibilità di un conflitto di giudicati per il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti dell'interventore rimasto estraneo ai successivi gradi di giudizio. Trova, comunque, conferma il consolidato principio di diritto secondo cui l'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicchè la sua impugnazione è inammissibile laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione, ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole.  (Vincenzo Antonini, riproduzione riservata)

 

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Vedi anche nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: