Corte di Cassazione (5560/2018) – Società in liquidazione coatta amministrativa e domanda di insinuazione al passivo del credito di un suo lavoratore illegittimamente licenziato: ipotesi di inammissibilità.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 08 marzo 2018 n. 5560 – Pres. Annamaria Ambrosio, Rel. Giacinto Bisogni.
Società in bonis – Licenziamento - Lavoratore – Impugnazione avanti al Pretore del lavoro - Richiesta di dichiarazione di illegittimità e di reintegrazione – Contestuale richiesta di risarcimento del danno – Datrice di lavoro - Successiva liquidazione coatta amministrativa - Riassunzione del processo - Commissario liquidatore - Vis attractiva di detta procedura – Non ammissione al passivo del credito – Comunicazione – Mancata opposizione nel termine ex art. 87 del D. Lgs. n. 385/1993 – Successiva tardiva nuova domanda – Inamissibilità.
Va giudicata inammissibile, nello specifico, la domanda di ammissione al passivo di una società in liquidazione coatta amministrativa che un suo ex dipendente abbia avanzato per vedersi riconoscere i danni che il licenziamento, che quella società allorché si trovava ancora in bonis aveva disposto nei suoi confronti, gli aveva provocato, dovutigli in quanto, nel corso di quella procedura concorsuale, era intervenuta la decisione del Pretore del Lavoro, che, a seguito dell’impugnazione proposta dallo stesso lavoratore, aveva riconosciuto l’illegittimità di quella decisione. Infatti, dal momento che quel giudice non aveva potuto, stante l’intervenuta messa in liquidazione coatta amministrativa della datrice di lavoro, pronunciarsi, come pure dal lavoratore richiesto, anche in merito al riconoscimento dei danni provocati dal licenziamento e dal momento che il commissario liquidatore, nei cui confronti il procedimento di impugnazione era stato riassunto, aveva, in virtù della vis attractiva di detta procedura, viceversa, ancor prima della decisione concernente il licenziamento, comunicato d’ufficio al lavoratore, ai sensi dell’art. 86 del D. Lgs. n. 385/1993, la mancata ammissione al passivo del credito che avrebbe potuto derivarne, quel lavoratore avrebbe dovuto necessariamente proporre opposizione avverso tale comunicazione, entro il termine previsto dall’art. 87 di detto decreto, in quanto l’eventuale accoglimento avrebbe comportato a suo favore l’ammissione al passivo con riserva (in attesa appunto della decisione del giudice del lavoro) di quel credito, stante che, in caso di mancata opposizione, una eventuale successiva richiesta sarebbe risultata, appunto, inammissibile in quanto la tardività non avrebbe potuto essere considerata , ex art. 101 L.F., dovuta a giusta causa. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
http://www.fallimentiesocieta.it/sites/default/files/Cass.%20Civ.5560.2018.pdf