Corte di Cassazione (8365/2025) – Fallimento: chiusura in corso di giudizio di cassazione e legittimazione processuale del curatore. Concordato: tassatività del termine ex art. 162, primo comma, L.F. e presupposto perché risulti in continuità.

Corte di Cassazione, Sez. I civ., 30 marzo 2025, n. 8365 – Pres. Massimo Ferro, Rel. Filippo D'Aquino.
Fallimento - Giudizio di cassazione – Chiusura della procedura successiva alla notifica del ricorso - Legittimazione processuale del curatore fallimentare – Sussistenza – Subingresso del fallito – Esclusione.
Proposta concordataria – Formulazione di istanza di integrazione del piano – Tribunale - Riconoscimento di un termine entro cui può aver luogo - Tassatività - Memorie e documentazione depositate successivamente alla scadenza – Inefficacia.
Concordato fallimentare- Società holding - Piano concordatario – Presupposto perché possa essere considerato in continuità.
In tema di giudizio di cassazione, sussiste la legittimazione processuale del curatore fallimentare anche se, successivamente alla notifica del ricorso, si proceda alla chiusura del fallimento (nella specie per concordato fallimentare), in quanto in tale giudizio non trovano applicazione gli artt. 299 e 300 c.p.c., nè trova applicazione il principio generale secondo cui la chiusura del fallimento fa cessare la legittimazione processuale del curatore, con il conseguente subingresso del fallito, tornato in bonis, nei procedimenti pendenti al momento della chiusura. (Massima Ufficiale) Il termine concesso per l'integrazione del piano e della proposta di concordato ai sensi dell'art. 162, primo comma, l. fall. ha natura perentoria, ciò analogamente a quella dei termini entro cui la legge concorsuale prevede debba essere depositata la proposta di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, sesto comma, l. fall., ragion per cui non possono essere valutate, ai fini della completezza della proposta concordataria, le memorie e la documentazione depositate successivamente al termine già oggetto di proroga. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Una holding di partecipazioni che, durante la vigenza di un piano concordatario, si limiti, oltre che a beneficiare del regime del consolidato e a percepire utili da una controllata, a dismettere ordinatamente le proprie partecipazioni, non può beneficiare, alla stregua di una ricostruzione tipologica versata in fatto, del regime del concordato con continuità aziendale, non essendo l’attività svolta in concreto qualificabile come oggetto sociale caratterizzante una società di quel tipo non risultando in tal caso riscontrabile una residua attività aziendale funzionalmente rilevante quale attività di impresa, che ove la prosecuzione sia soltanto parziale, deve riguardare quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
https://dirittodellacrisi.it/articolo/cass-sez-1-30-marzo-2025-n-8365-pres-ferro-est-daquino
[con riferimento alla prima massima, cfr. nello stesso senso in questa rivista: Cassazione civile, Sez. I, 14 Febbraio 2019, n. 4514 https://www.unijuris.it/node/4875; con riferimento alla seconda: Corte di Cassazione, Sez. 1, 22 maggio 2024, n. 14196 https://www.unijuris.it/node/7855, Cass., Sez. 1, 7 dicembre 2022, n. 35959https://www.unijuris.it/node/6637 e Cassazione civile, Sez. I, 19 Novembre 2018, n. 29740 https://www.unijuris.it/node/4542; quanto alla terza, con riferimento alla diversa ipotesi del concordato c.d. “misto” qualificabile come “in continuità”: Corte di Cassazione, Sez. I civ., 15 gennaio 2020, n. 734 https://www.unijuris.it/node/5016 e Corte di Cassazione, Sez. I civ., 08 gennaio 2025, n. 348 https://www.unijuris.it/node/8276].